Il Presepio della Prigionia
Natale 1944: secondo desolato inverno di prigionia nello squallido lager tedesco di Wietzendorf dove è quasi sempre inverno. Moltitudine di uomini, vecchi e giovani, ormai privi di tutto, piegati dall’estrema denutrizione; spettrali nei pochi vestiti consunti, addossati, quasi interrottamente giorno e notte, in baracche sporche, fredde, buie, fumose e umidissime; inermi di fronte alla crudeltà inutile dei custodi, umiliati, minacciati di continuo dalla morte, all’oscuro completo degli avvenimenti. Malattie, mucchi di stracci umidi e freddi, fango dappertutto, dentro e fuori le baracche, fame, inedia. Così, con un coltello scout, una forbicina robusta, il cardine di una porta come martello, alla luce di un lumicino che ognuno alimentava di un piccolo contributo tolto alla microscopica razione giornaliera di margarina, è nato questo presepio. Con le figurine ricavate dal legno dei giacigli, scavate, sottili, come protese alla ricerca di orizzonti puri e vasti, tormentate come l’anima del prigioniero chiuso nel filo spinato che ne forma la loro ossatura, ritte sugli zoccoli che servivano ai prigionieri per non sprofondare nel fango.
Il presepio di Wietzendorf è un ricordo di tanti, tornati o rimasti.
Catturati, di conseguenza provenienti dalle varie zone di operazione, ogni ufficiale aveva nella cassetta d’ordinanza o nello zaino qualche piccolo ricordo portafortuna della fidanzata, della moglie, delle persone care, ricordi gelosamente custoditi e difesi che vennero offerti a Gesù nel Natale 1944.
Questo spiega la presenza del minuscolo cestino che era nella calza della Befana di due bambini del Cap. Gamberoni di Bologna, accanto al panno grigioverde della giacca del Cap. dell’artiglieria alpina Dalla Bernardina di Belluno e il pelo di agnello, fodera del pastrano del Cap. Bertoletti A. di Como che lo aveva indossato sui monti della Grecia e successivamente sul fronte russo; Gesù bambino fatto con un fazzoletto di seta del Tenente Bianchi di Milano, ufficiale di picchetto al 4° art. pes. di Piacenza. E il robusto tessuto di cotone rigato, già sacchetto di pulizia del Tenente bersagliere Peroni G. di Milano, che diventa l’abito della figurina che rappresenta l’Italia settentrionale: così un lembo del pigiama del Ten. Art. bersagliere Montobbio C. di Milano diventa il turbante e la fascia di un Re Magio e il pendaglietto-braccialetto del Ten. Art. Mendoza di Vigevano diventa la collana dell’altro Re Magio. Ecco la presenza delle mostrine dei Lupi di Toscana del Ten. M. Vezzosi di Milano, risvolto alle maniche del guerriero longobardo e la camicia un lembo sfilacciato della camicia azzurra del S. Ten. pilota Alviano di Alessandria: il pelo della pecorella è il tessuto sfilacciato della musetta da cavallo del Ten. N: Mori di Arezzo, il lembo della tonaca del Cappellano, Padre L. Ricci, è il vestito di San Francesco.
Per intere lunghe ore, chiusa nel buio, la baracca è rimasta raccolta in contemplazione della nascita del Presepio: assorte figure, scarne, pallide, raggomitolate e silenziose: la notte di Natale il presepio era pronto, vivo splendente di biancore nel nerume tutto intorno. Simbolo potente di fede indistruttibile e di speranza, ha portato, in mezzo a quella solitudine, un’ondata vivificatrice di gioia, di ricordi caldi, dolci e sereni dei Natali di casa.
Nessuno può dimenticare la messa di quella notte, celebrata ai piedi di questo presepio. Una grande bandiera tricolore custodita da un eroico cappellano, Don Costa, faceva da tovaglia all’altare.
Nessuno lo può dimenticare, nemmeno l’ateo convinto che era stato fino allora ironico.
Così il presepio di Wietzendorf continua a raccontare la storia di umili e fieri soldati d’Italia che non accettarono compromessi. Forti del loro giuramento per l’onore militare non lasciarono mai cadere le loro stellette nel fango.
Manca il bue, un bue con un grande collare e una grossa campana, come quelle che nei nostri passi alpini risuonano al passo lento delle mandrie.
È rimasto lassù, povero prezioso segno, a tenere compagnia a quelli che lo hanno visto nascere e non sono più tornati.